E’ PRIORITARIO SALVARE I DIRITTI D’USO COLLETTIVO E CIVICO DELLE TERRE
La maggior parte degli italiani non sanno che esistono questi
diritti,che le terre destinate all’uso civico,nel dopoguerra
arrivavano a 1/5 del territorio nazionale. Perchè in
italia,dall’antichità fino ai primi anni dell’ultimo dopoguerra,molta
della popolazione viveva sulle terre di montagna. Quindi:
per affrancarsi,prima,dalla servitù e dagli eserciti,poi, dal mercato
della terra e dalla mezzadria,
sono cresciute zone con proprietà collettiva della terra e governo
collettivo attraverso le regole
(senza finalità di profitto) e i comunelli. Questo è stato un processo
che in alcune zone si è af
fermato molto,durando ancora adesso. Le Regole nel Cadore/Ampezzano,
le Comunanze nelle
Marche, le Partecipanze in Emilia,le Comunalie nell’Appennino
Emiliano, le Università Agrarie
nel Lazio e nel Centro Italia,gli Usi Civici in Sardegna.
Ma nel dopoguerra,quando fecero la costituzione,accanto alla
proprietà pubblica e privata, non fu messa la proprietà
collettiva,inventando il demanio pubblico e favorendo così l’abban
dono. Inoltre,in assenza di comunità e di associazione di abitanti,il
bene viene incamerato dai
comuni. Per questo molti comuni non facilitano la vita di queste
iniziative sulla terra,financo le inchieste catastali.
Infine oggi,dopo anni di tentativi di appropriazione delle terre
collettive,il governo Monti ha deciso di sdemanializzare(cioè rendere
vendibile) questo patrimonio che è collettivo.
Pensiamo che per reggere alla crisi occorre basarsi sulla ricchezza
sociale,non su quella privata,nè su quella pubblica. Per questo è
importante organizzarsi collettivamente per recuperare queste terre e
gestirle attraverso pratiche sociali e solidaristiche. Come stanno
facendo in Colombia e in altri paesi del Latinoamerica. Rinnovando e
rafforzando gli usi civici.